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Il sacrificio è una medaglia con due facce…

Quanto può insegnarci una ragazzina che, senza scarpe, vince e rivince?
Quanto può insegnare a quegli atleti che hanno tutto e ai quali non basta mai nulla e sono sempre scontenti per qualcosa che non è andato come avrebbero voluto?
Minuti in meno giocati, problemi con l’allenatore o per un calzino un po’ stretto…

#NOSCUSE

Questo è un motto che mi piace ricordare sempre ai miei atleti. Perché da sempre mi è stato insegnato che quando un atleta attribuisce ad altre persone o a fattori esterni il proprio fallimento (inteso come non-risultato per una prestazione o una stagione andata non proprio bene) iniziano i problemi veri!

Riconoscere che si è sbagliato, o che si è carenti in qualcosa, è il primo passo per superare i problemi e guardare già al nuovo obiettivo con fiducia e grinta.
Ho perso perché mi è mancato questo è ci lavorerò“: questo è l’atteggiamento corretto!
Consapevolezza dei propri mezzi e voglia di superare i propri limiti e le proprie paure è l’atteggiamento del campione.

C’è un’altra faccia, poi…

L’altra faccia della medaglia, quella che nessuno vede, ma che solo l’atleta vive.
La vive tra le vesciche, tra i dolori, tra le sconfitte.

Tante volte questi atleti lanciano grida di aiuto a chi non vuole o non può sentirli. Più sono forti e famosi più è alto il grido che lanciano e più sorde le persone che molte volte gli stanno intorno.

Molto facile invece è vedere la fama, i soldi, la vittoria o l’ultima macchina comprata. Tanto facile criticare e giudicare le loro vite e loro scelte, ma soprattutto i loro sbagli.
Quanti allenatori dietro quelle televisioni sul divano di casa…
Quanti facili insulti sui social contro di loro, senza mai pensare che dietro quel giocatore c’è un ragazzo come tutti gli altri che per arrivare lì, ha sudato, sofferto, preso porte in faccia ma mai mollato.

Ed è per loro che amo il mio lavoro e pretendo che chi lo fa abbia davvero a cuore quella parte che nessuno vede, quei piedi e quei cuori distrutti dentro le scarpette, quel fallimento che brucia così tanto da non far dormire.
Siamo noi che dobbiamo sostituire quell’ultimo brutto pensiero, con la sicurezza di poter lavorare per scegliere un domani migliore.

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